Oggi pomeriggio abbiamo qualche ora a disposizione e decidiamo di dedicarla alla visita di un sito che prima di partire avevo considerato imprescindibile: il Jantar Mantar, un complesso di architetture realizzate come strumenti astronomici, fatto costruire dal Maharaja Sawai Jai Singh II nel XVIII secolo. Ne avevo visto alcune fotografie in una rivista e mi aveva particolarmente colpito. Si uniscono a noi solo pochi dei nostri compagni di viaggio. Chi non è venuto si dovrà pentire…
All’ingresso veniamo accolti da un acquazzone torrenziale e, quando riusciamo finalmente ad entrare, un distinto signore ci si avvicina presentandosi come un professore universitario esperto di astronomia che per qualche rupia sarebbe stato lieto di farci da guida. A giudicare dal numero di professori che finora ci si sono proposti come guide, gli universitari qui in India non se la devono passare proprio bene.
Comunque, accettiamo e veniamo subito investiti da un fiume di parole dapprima incomprensibili. Ad un più attento esame, capiamo che il tizio parla uno strano miscuglio di inglese, spagnolo e indiano, condito da qualche spruzzata di italiano qua e là. Una specie di personale esperanto che dopo qualche minuto riusciamo anche a capire.
L’ osservatorio è un grandioso complesso di strumenti astronomici monumentali di grande precisione, costruiti in pietra e cemento. Tra tutti svetta il Samrat Yantra, una gigantesca meridiana disegnata dallo stesso Jai Singh, sulla quale si può leggere l’ora solare con un errore massimo di mezzo secondo!
Altri strumenti misurano la posizione della Luna, dei pianeti, delle costellazioni ecc.
Il sito è di grande suggestione e ci aggiriamo affascinati in questa foresta di costruzioni dalle più svariate forme geometriche, senza accorgerci del passare del tempo.
Invece, il tempo passa. Siamo in ritardo ed abbiamo appuntamento con gli altri in albergo per andare a cena.
Dopo un pomeriggio di giri in centro, mi sento ormai padrone della città e convinco Miriam a tornare a piedi. Dalla piantina non sembra un lungo percorso, ma una volta entrati nel dedalo di vicoli e viuzze della città vecchia, perdo immediatamente l’orientamento. Più ci addentriamo e più i quartieri diventano decrepiti. Le strade, invase dall’acqua per la recente pioggia, sono un vero pantano e pian piano di turisti non se ne vede più neanche uno.
Provo a chiedere informazioni ai passanti, ma veniamo indirizzati verso direzioni sempre diverse. Scopriremo in seguito che in India è considerato scortese rispondere “non lo so” a chi ti chiede una informazione, così vieni comunque gratificato da una risposta, anche se totalmente inventata.
Intanto, mentre calano le prime ombre della notte, Miriam inizia a manifestare un certo nervosismo…
Nonostante in nessun momento ci sentiamo minacciati o in pericolo, anch’io preferirei non essere costretto ad aggirarmi nella totale oscurità, in zone sconosciute e decisamente poco battute. Nessuno però riesce a leggere la piantina ed il nome dell’albergo sembra oscuro a tutti.
Quando ormai cominciamo a disperare, finalmente appare un risciò a motore il cui guidatore, prontamente bloccato, dice di conoscere l’albergo. Una lauta mancia lo convince a caricarci, sebbene sia fuori servizio e, durante il tragitto, ci rendiamo conto di quanto eravamo finiti fuori zona.
Quando arriviamo in hotel, i nostri compagni sono già tutti sul pullman ad attenderci spazientiti per andare a cena.
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