Ad Osyian, mentre attendo l’uscita di mia moglie, mi imbatto in uno strano soggetto. Indossa un pantalone e fiori e svariate collane e cavigliere. Ha una lunga barba nera ed i capelli raccolti in una crocchia. Fin qui niente di strano, se non fosse che nella mano ha una lunga frusta con la quale si fustiga violentemente una spalla, dalla quale sgorga del sangue.
Non mi è chiaro il motivo di tale masochismo, finché non vedo svariate persone avvicinarglisi di soppiatto per fargli offerte di cibo o denaro. Gli schiocchi della frusta sono così rumorosi che mi si accappona la pelle al pensiero del dolore che gli devono procurare, ma osservando meglio la scena, mi accorgo che in realtà il furbacchione si guarda bene dal colpirsi realmente. I colpi che sferra, infatti, sono sì rivolti verso la sua spalla, ma questa non viene mai percossa. Ciò che fa rumore è solo la punta della frusta che colpisce il terreno. Anche le ferite sanguinanti sono una finzione. Né la spalla, né la schiena riportano alcuna cicatrice ed il sangue, invece di scorrere copioso, rimane sempre immobile sugli stessi punti, probabilmente frutto di qualche vernice.
‘Chi vuole fregare questo tipo? Forse dei sempliciotti indigeni, non certo uno smaliziato turista europeo!’ mi sorprendo a pensare.
Ma chi lo sa? Forse anche i sempliciotti indigeni si sono accorti della finzione, ma vogliono solo crederci. Oppure, ancora più semplicemente, non gliene frega niente a nessuno. E’ un altro morto di fame che vuole un po’ di elemosina e basta. Perché l’indiano, questa disillusione ce l’ha negli occhi. Sempre. Non so se si tratti del credo induista che promette un riscatto sociale nelle prossime vite, oppure dell’assurda divisione in caste che impedisce di fatto qualsiasi elevazione ai più poveri. Ho l’impressione che molti di loro non vivano la vita, ma la lascino scorrere nella speranza di qualcosa di meglio che verrà dopo la morte.
Miriam mi ha raggiunto proprio mentre sono immerso nei miei pensieri. Ha visto una bella borsetta in una bancarella e l’ha acquistata dopo una breve contrattazione. Sta per pagare, quando un ragazzo, forse il figlio del commerciante, mi si avvicina. Dice che vorrebbe tanto che gli facessi una fotografia.
“Ma certo!”
Lo faccio avvicinare a mia moglie e scatto. Il ragazzo guarda l’immagine dal monitor della macchinetta fotografica e si apre in un largo sorriso.
Proprio in quel momento realizzo di non avere alcuna possibilità di fargliela avere. Chiedo il suo indirizzo, in modo da potergliela spedire, ma lui mi fa cenno che non importa.
Allora capisco. Non voleva avere una sua fotografia, ma voleva che l’avessimo noi. Una testimonianza indelebile della sua esistenza che varcherà i confini del suo misero villaggio.
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