INDICE
CAPITOLO 1° – Il primo impatto
All’uscita dall’aeroporto, il caldo è opprimente e l’umidità così elevata che i miei occhiali si appannano all’istante. Quando finalmente ritrovo la vista, rimango per un attimo perplesso. Invece che da un aereo mi sembra di essere sceso da una macchina del tempo. Sul piazzale antistante l’aeroporto, sono parcheggiate decine di automobili… di un’altra epoca.
I modelli più vistosi sono giganteschi macchinoni degli anni 50 stile American Graffiti, ma l’auto che ci attende per il nostro transfer è ancora più evocativa. E’ senza dubbio la Fiat 124 sulla quale mio nonno mi scarrozzava da bambino.
In realtà si tratta di una Lada russa, prodotta negli anni 70 proprio dalla Fiat sul modello della 124. E’ la macchina di Carlito, colui che ci scorrazzerà nei prossimi giorni per l’Havana. A prima vista, si ha l’impressione che il mezzo sia uscito in fretta e furia dalla catena di montaggio, senza passare per il settore “rifiniture”. Affermare che il suo interno sia spartano, infatti, è una vera esagerazione, perché in effetti dentro non c’è assolutamente nulla. Tappezzeria, rivestimento degli sportelli, plancia, tutto è stato asportato lasciandola completamente nuda ed attraversata da una miriade di fili elettrici dei quali non capisco bene la funzione, a parte quella di farmi inciampare ogni volta che tento di entrare o uscire.
CAPITOLO 2° – Rischiando la vita sull’autopista
Io e Miriam ci guardiamo divertiti mentre saliamo in macchina, ma il sorriso sparirà ben presto dai nostri volti, perché a metà del percorso veniamo sorpresi da un acquazzone di violenza inaudita che ci pone ben presto davanti ad un dato inconfutabile: la nostra Lada/124 ha le gomme lisce, ma così lisce che ogni curva la affrontiamo derapando come fossimo in un rally.
E’ quando comincia a piovere dentro l’abitacolo, però, che inizio ad allarmarmi sul serio. Inoltre Carlito, per motivi a noi sconosciuti, non sembra intenzionato ad azionare il tergicristallo, e dal parabrezza non si vede assolutamente nulla.
Non ci sono certo di aiuto il manto stradale, pieno di buche colme d’acqua e le strane abitudini di guida degli altri automobilisti. Sulle strade cubane (e di ciò avremo la riprova anche nei giorni seguenti) sembra vigere una specie di anarchia generalizzata. Le auto si sorpassano indifferentemente a destra e a sinistra e per lunghi tratti viaggiano sulla corsia esterna a bassa velocità, tanto da farci sospettare che il vero lato di sorpasso sia quello destro.
Fortunatamente il nostro mezzo non consente alte velocità. Appena raggiunti i 70 orari, infatti, comincia ad emettere un sibilo fortissimo che induce l’autista a ridurre l’andatura.
Quando, se possibile, la pioggia aumenta di intensità, il nostro Carlito decide finalmente di attivare i tergicristalli, anzi il tergicristallo, perché uno dei due non funziona, e capiamo subito il perché di tanta riluttanza nell’azionarlo. Dopo pochi metri, infatti, la spazzola vola letteralmente dal parabrezza, finendo in mezzo alla strada qualche decina di metri dietro di noi. Carlito allora mette la retromarcia in piena autopista, e dopo aver raggiunto il pezzo, lo recupera con fare imperturbabile rimettendolo nella sua posizione originaria… mentre le altre auto ci schivano a destra e a sinistra a clacson spiegato.
Seguiamo l’operazione con lo sguardo terrorizzato di chi sta per terminare drammaticamente la propria esistenza in un paese che certamente non consente facili disbrighi burocratici per il trasporto delle salme.
Per nostra fortuna, l’acquazzone ben presto diminuisce di intensità, fino a terminare, improvviso come era cominciato, dopo pochi minuti.
CAPITOLO 3° – Auto, un museo a cielo aperto
Sulle strade dell’Havana il traffico non si può certo dire congestionato, ma la puzza di smog è quasi insopportabile. E’ un paradosso difficile da dirimere sulle prime, ma poi, annusando con attenzione, mi accorgo che l’odore è molto simile a quello che si respira negli aeroporti. Si tratta quindi di benzina affine al kerosene, che unita ai vecchi motori del parco macchine antidiluviano, crea una miscela altamente inquinante.
A proposito di automobili, ero sempre stato convinto che le favolose automobili americane degli anni 50 di cui si favoleggiava, fossero solo pochi esemplari destinati ad uso e consumo dei turisti.
Mi sbagliavo.
In giro ce ne sono moltissime. Carlito mi spiega che sono le auto lasciate dagli stranieri in fuga dopo la rivoluzione del 59. Gli attuali proprietari possono tenerle finché non vengono rottamate, poi basta. Per questo motivo si ingegnano in tutti i modi per non perdere questo bene prezioso.
“La gran parte dei motori non sono più quelli originari – continua Carlito – Li hanno sostituiti con quelli di vecchie auto russe”. Da quando c’è il turismo, poi, hanno capito che attirano molto gli stranieri, e le stanno convertendo tutte in taxi (anche se ogni automobile a Cuba è un potenziale taxi), facendo a gara per renderle più attraenti possibili, lucidandole e tirando le cromature a specchio. Alcune sembrano appena uscite dalla fabbrica.
CAPITOLO 4° – Quelle strane noci di cocco ambulanti
Ci sediamo sul muretto a contemplare l’incredibile spettacolo del Malecon, quando, dopo pochi minuti, si ferma dinnanzi a noi uno di quei ridicoli tricicli a forma di uovo che, come uno sciame di strani insetti, infesta le strade della città. Abbiamo scoperto che si chiamano Cocotaxi e il nome rende bene l’idea, perché a ben vedere, sembrano proprio delle noci di cocco ambulanti. Sono in realtà degli scooter giallo canarino aperti sul davanti (una specie di Ape nostrana, tanto per intenderci), con due posti a sedere sul retro. L’autista ci chiede se vogliamo fare un giro e, con un rapido scambio di occhiate, io e Miriam decidiamo che potrebbe non essere una cattiva idea. Conclusa la contrattazione di rito, ci facciamo scarrozzare per tutto il Malecon, fino all’Hotel Nacional. L’aria in faccia ci rinfresca dalla calura anche se lo smog che respiriamo ci porta vicini ad una intossicazione.
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